Metodologia


BALISTICA COMPARATIVA

COMPARAZIONI DI BOSSOLI

 

Uno dei più frequenti quesiti che possono essere posti all’esperto balistico forense è quello di identificare l’arma o le armi impiegate in un’azione a fuoco. L’identificazione delle armi (firearms identification) è un settore della tool-mark analisys, che si occupa dell’analisi delle impronte lasciate da un utensile o un attrezzo meccanico. Un’arma da fuoco è assimilabile a un insieme di utensili (tools) che residuano impronte  (toolmarks) sulle varie parti di bossoli e proiettili.

Per tale importante settore della balistica forense  è indispensabile l’utilizzo del microscopio comparatore.

Infatti, da un’azione commessa con armi da fuoco, quasi sempre, è possibile recuperare residui del munizionamento impiegato (bossoli, proiettili e altro), a volte le stesse armi.

Le operazioni per l’ identificazione dell’arma consistono nel confronto (analisi micro comparativa) tra le parti delle cartucce recuperate sul teatro dei fatti (bossoli, proiettili, frammenti di camiciatura, borre etc) e bossoli e proiettili ottenuti da cartucce esplose con l’arma o le armi sospettate,  denominati  “Tests” o “Sperimentali”.

Perché si formano le impronte  sui bossoli?

Nelle fasi di movimento della cartuccia nell’arma (caricamento ed espulsione) nonché allo sparo, ogni arma lascia diverse impronte caratteristiche di cui quelle, quasi sempre ripetitive e generalizzate vengono anche definite impronte primarie. Esse sono riconducibili alle impronte di otturazione, espulsione ed estrazione per quanto riguarda armi automatiche e semiautomatiche ed impronte prevalentemente di otturazione per i revolvers

La formazione delle impronte provocate dal metallo più duro (parti meccaniche dell’arma) su superfici più morbide (rame,ottone, nikel etc) delle cartucce, è determinata soprattutto dalle pressioni generate dallo sparo e dal conseguente movimento degli organi meccanici dell’arma.

Allo sparo, le pressioni spingono violentemente il bossolo sulla testa di otturazione e lo espandono sulle pareti della camera di scoppio consentendo lo stampaggio di una serie di impronte che copiano il calco di tutte le superfici dell’arma venute a contatto.

A queste impronte se ne possono aggiungere altre che derivano dai cinematismi di funzionamento dell’arma sia antecedenti lo sparo, quali le impronte lasciate dalle labbra del caricatore e dall’otturatore nella spinta di avanzamento della cartuccia ma anche susseguenti lo sparo,  principalmente quelle lasciate dall’estrattore e dall’espulsore.

Gli strati superficiali metallici delle componenti un‘arma da fuoco sia corta che lunga, anche se fabbricata con processi tecnologici dei più moderni ed innovativi, conferiscono all’arma stessa una  sua “morfologia individuale” condizionata sia dall’assemblaggio che dalla finitura delle superfici  statiche e dinamiche dell’arma stessa.

Tale “personalità individuale” si trasferisce immancabilmente sulle impronte residuate sugli elementi di colpo sparati (bossoli e proiettili) soprattutto grazie al residuarsi sugli stessi di strie e microstrie (spesso contenute nelle impronte primarie) che contribuiscono in modo determinante a far risaltare una  identità balistica.

Pertanto, tutte le impronte balistiche rilevate sui bossoli sono da considerarsi la firma dell’arma che li ha sparati e, un  esame comparativo  è positivo se si dimostra che le impronte rilevate sono state provocate con certezza dagli elementi meccanici  appartenenti a quell’arma.

COMPARAZIONI DI PROIETTILI

Nelle armi da fuoco a canna rigata, la rigatura interna alla canna comprende un insieme di solchi elicoidali con andamento che – a seconda del fabbricante – può essere destrorso o sinistrorso, alternando solchi in rilievo (detti anche pieni di rigatura o solchi conduttori) con altri di opposto riferimento (detti vuoti di rigatura).

I moderni sistemi industriali anche quelli a “CNC” consentono di ottenere elevatissima qualità ma, per quanto riguarda la rigatura delle canne, inevitabilmente, anche se in modo molto variabile a seconda della ditta costruttrice, permangono, sulle pareti (interne della canna) di lavoro – oltre alle impronte di classe cioè quelle relative alla dimensione e al passo (inclinazione) dell’impronta di rigatura – anche delle micro-imperfezioni di lavorazione che vanno inevitabilmente poi, a copiarsi sul proiettile nel corso del suo moto rotatorio all’interno della canna stessa.

 

In buona sostanza, la canna di un’arma rigata, anche se costruita seguendo processi tecnologici moderni e sofisticati, continua a possedere una sua fisionomia individuale che si trasferisce immancabilmente sulle impronte che essa lascia sui proiettili sparati.

 

Le metodiche comparative sui proiettili – diversamente da quanto citato per i bossoli – seguono differenti  criteri.

 

Le rilevazioni morfologiche  e dimensionali (calibro,  dimensione delle impronte di rigatura e loro inclinazione in funzione del passo) sulle impronte residuate – quale prima osservazione – definiscono quelle che si chiamano  caratteristiche di “Classe” dell’arma da cui provengono i proiettili stessi; da esse è possibile  definire la marca dell’arma e, spesso, anche il modello.

Per accertare se un (o più) proiettile repertato sia stato o meno esploso da un’arma sospettata, è necessario ottenere da quell’arma dei tests, esplodendo 2 o più colpi in un tunnel balistico che ne consenta il recupero dei proiettili in totale assenza di deformazioni.

Pertanto, i tests ottenuti dall’arma sospettata saranno poi messi a confronto al microscopio comparatore con il o i proiettili repertati.

 

Per la ricerca della identità balistica, sarà necessario basarsi su quegli elementi (microstrie) che dimostrano di possedere la ripetitività (proiettile – test): in poche parole,  quelli che si manifestano sistematicamente all’interno delle strie primarie (o solchi conduttori) presenti sulle impronte residuate.

 

Se l’accertamento risulterà positivo “Comparazione positiva” saremo riusciti ad esaltare la “Identità Balistica” intesa come  esaltazione delle “Caratteristiche Individuali” tra reperto e test ovvero l’abbinamento e la prosecuzione di più microstrie presenti sui due proiettili confrontati, in particolar modo quelle collocate all’interno di ogni singolo solco conduttore.

 

Per “solco conduttore”  s’intende l’impronta lasciata sul corpo cilindrico del proiettile dal pieno di Il solco conduttore lasciato dal “pieno” di riga concorre alla maggiore formazione e al miglior dettaglio d’impronte distintive, grazie al maggior attrito cui il proiettile stesso è sottoposto in funzione del minor diametro della canna in quel punto, diversamente da quanto rilascia il “vuoto” di riga.

Basandoci quindi su tale principio, si rende necessario sottoporre a comparazione balistica (nello strettissimo ordine cronologico relativo al numero delle rigature residuate) le impronte di riga (solchi conduttori) presenti su ciascuno dei due proiettili a confronto.

Bisogna cioè sottoporre a confronto ciascuna impronta di riga residuata sui due proiettili, con la preventiva esaltazione della prosecuzione delle “microstrie primarie” che corrispondono ai due solchi d’ appoggio della riga dell’ arma ed il più concreto esame finale su quelle microstrie ripetitive e costanti presenti all’ interno di ciascun solco di ciascuna impronta, denominate  “microstrie secondarie”.

Nell’ambito delle strie primarie nonché negli spazi intermedi tra i diversi solchi conduttori, si rilevano anche fasci di micro-striature parallele definite come “strie secondarie” o “fini striature”, o anche semplicemente “microstrie” le quali sono prodotte dalle minute asperità presenti sulla superficie dell’anima della canna.

 

Le asperità esistenti nei pieni e nei vuoti  dell’anima della canna, dipendono da svariati fattori condizionati sia al metodo di lavorazione e sia dallo stato fisico della canna stessa.

 

E’ importante sottolineare quanto determinante possa essere l’esame di queste “strie secondarie” presenti nel solco conduttore le quali sono, in effetti, le sole che acquistano valore ai fini di una identificazione certa.

 

Se, per esempio abbiamo quale reperto un proiettile la cui “classe” (inclinazione e dimensione dei pieni e dei vuoti) coincide a quella di cui al test ottenuto da una Beretta cal. 7,65 mod. 35 (6 principi destrorsi), la prima operazione da farsi per la eventuale esaltazione della “identità balistica” (se mai ci fosse) è quella di ricercare un solco conduttore nel quale risiedono le maggiori impronte significative e duplicare identica ricerca sul proiettile test.

Una volta trovate coincidenze significative, il controllo passa alla riga “2” e così via fino alla riga “6”; l’identità balistica su due proiettili deve trovare riscontro su tutte le n. 6 impronte di riga presenti.

In aggiunta a quanto detto fin’ora, è da tener presente che, a meno che una canna non abbia difetti macroscopici tali da lasciare una firma indelebile sui proiettili sparati, una comparazione tra due proiettili esplosi dalla medesima canna  evidenzierà una convincente “ identità balistica”  solo quando le due cartucce (tassativamente dello stesso lotto) siano state sparate  dopo un intervallo di tempo relativamente breve, tale da garantire l’assenza di fenomeni vari all’interno della canna stessa (polvere, granuli, ossidazione etc).

 

E’ proprio per questo motivo che, per l’ottenimento di test sperimentali, è raccomandabile ricercare cartucce il più possibile uguali/similari a quelle di cui ai reperti balistici repertati.

 

L’esigenza primaria di tale uguaglianza è dettata in primis dalle velocità dei proiettili sparati che condiziona in modo preponderante l’orientamento e la formazione delle microstrie.

E’ intuitivo che  proiettili della stessa forma, mantellatura  e marca  se spinti a velocità diverse (lotti diversi) residueranno microstrie con orientamenti non costanti tra loro.

 

Anche il  diametro del proiettile, pur prescindendo dalle tolleranze di lavorazione, che oscillano tra i 2 e i 3 centesimi di millimetro, in più o in meno rispetto al diametro nominale e a seconda del calibro, può variare da marca a marca e il risultato sul proiettile sparato (riferendoci ad una canna di pistola con i diametri dei pieni e dei vuoti in limiti normali), si manifesta  con impronte dei pieni più profonde ed incise quando il diametro del proiettile supera, anche di poco, un determinato valore, nonché con la formazione di un gran numero di striature anche nelle zone che corrispondono ai vuoti di rigatura.

 

Oltre ai  fattori collegati al proiettile e al tipo di carica, non vanno trascurati altri fattori molto determinanti per la formazione delle fini striature, che hanno stretta relazione col fenomeno, vero e proprio, di balistica interna, ossia dello sparo.

Ci riferiamo, in particolare a quello slittamento o scivolamento che si verifica allorchè il proiettile, staccandosi dall’orlo del bossolo sotto la spinta dei gas, inizia il suo movimento traslatorio, impegnandosi poi nella rigatura, prima di assumere  il moto rotatorio che gli viene conferito dalla stessa rigatura.

 

Il risultato di questa traslazione iniziale è la formazione di una seria di impronte analoghe alle strie primarie ma con andamento parallelo all’asse della canna, sulle quali vanno a sovrapporsi  le strie primarie vere e proprie, queste ultime inclinate, in quanto generate dai pieni della rigatura.

 

Le zone indenni di queste strie si rendono visibili nella parte cilindrica del proiettile, dal lato dell’ogiva, cioè della punta, e appaiono localizzate a sinistra o a destra di ogni stria primaria a seconda se queste ultime sono destrorse o sinistrorse.

 

Le strie da slittamento (detto anche slippage) si imprimono in particolare quando si verificano determinate condizioni di accoppiamento tra pallottola e anima della canna in funzione del valore dei rispettivi diametri.

 

 

Queste strie da slittamento non sono utili ai fini identificativi, ma possono, a volte, influire sulla improntabilità delle strie primarie;  si tratta di linee che vanno ad incrociarsi con le fini striature modificandone la configurazione generale; ciò si verifica solo nella parte inferiore delle strie primarie, cioè dal lato del fondello.

 

Per una valutazione corretta degli elementi acquisiti nel corso delle indagini comparative, è  necessario che  venga rilevata la presenza di un certo numero di fasci di strie sicuramente tra loro coincidenti, fasci che devono essere costituiti da strie  di una certa profondità, localizzate all’interno o eventualmente anche all’esterno di una serie di impronte primarie tra loro adiacenti.

 

Nel caso sussistano scarsi elementi identificativi pur in presenza di indiscutibile identità di classe d’arma, si potrà formulare, a seconda dei casi, un’ipotesi di compatibilità, o un giudizio in senso dubitativo, tenendo presente la possibilità, non escludibile in tanti casi, dell’intervento di uno o di una molteplicità di fattori quali appunto le deformazioni a carico dei reperti, fenomeni di ossidazione e usura dell’arma e, non in ultimo, la subentrata impossibilità nel reperimento di test sperimentali della stessa marca, epoca  e lotto di produzione dei proiettili a reperto.

 

Tutto quanto esposto, porta a evidenziare che la soluzione dei problemi connessi nella identificazione dell’arma partendo dalla pallottola sparata presenta, nella maggior parte dei casi, notevoli difficoltà: la ricerca, il reperimento delle coincidenze nelle fini striature sono, in effetti affidati solo all’abilità, alla preparazione e all’esperienza acquisita dall’operatore, qualità che non possono essere certamente sottovalutate se si considera, in particolare, la gravità delle conseguenze cui può dar luogo una conclusione errata.

 

DEDUZIONI SUI RESIDUI DELLO SPARO

 

Considerato che il complesso termodinamico allo sparo di una cartuccia di arma da fuoco comprende la capsula d’innesco (costituita da Sali inorganici di elementi pesanti), la deflagrazione della polvere da sparo (di natura prevalentemente organica) e dei residui volatilizzati (per le alte temperature e per i tormenti meccanici) generati dal passaggio del proiettile della canna, attualmente, la rilevazione delle prove di avvenuto impiego di un’arma da  fuoco viene prevalentemente eseguita attraverso la ricerca e l’identificazione delle così dette “fire ball”, ossia le sferule che vengono originate dalla combustione dei granuli di propellente e dalla miscela d’innesco.

Il nome loro attribuito deriva da quello delle scorie proiettate dai vulcani o prodotte durante il getto della fusione d’altoforno.

Si tratta, grosso modo, di gocce di materiale solido liquefatto dal calore che si raffreddano durante la loro traiettoria assumendo forma sferica a causa della composizione delle azioni tensionali e di quelle dinamiche.

Si può comprendere facilmente il fenomeno rammentando quando è possibile osservare, durante le operazioni di saldatura a mezzo cannello ossiacetilenico o tutte quelle sferule che, scoppiettando, sfuggono dal metallo incandescente e dal borace durante la brasatura.

Analogamente ai fenomeni descritti, i residui combusti parzialmente od incombusti, originati dalla detonazione della capsula d’innesco e dalla deflagrazione del propellente di una cartuccia (specie se di arma corta) generano uno sciame di sferule che, di forma regolare e di composizione più o meno complessa, sono formate dai prodotti intermedi e da quelli finali che derivano dal fenomeno di trasformazione di un esplosivo detonante solido da innesco e da quello di un esplosivo deflagrante da lancio.

Per quanto concerne la metodica di prelievo con nastro adesivo (stub) e la successiva analisi SEM-EDX, ossia mediante microscopia elettronica a scansione con microanalisi spettrometrica a raggi X (SEM: microscopio elettronico a scansione), essa si può riassumere esponendo che i prelievi vengono eseguiti premendo un supporto su cui è fissato del nastro adesivo sulle superfici su cui si presume possano essersi depositate le “fire ball” .

Il nastro adesivo utilizzato viene rivestito, sotto vuoto, con un sottilissimo strato di carbonio che, oltre a proteggere la superficie, la rende conduttiva.

Dopo quest’ultima operazione, detta “metallizzazione”, il campione può essere esaminato col microscopio elettronico.

Il microscopio elettronico si basa sul principio secondo cui un fascio di elettroni (usualmente generato termoionicamente da un filamento al tungsteno) può essere focalizzato sul campione da indagare da un sistema di campi magnetici. L’interazione col campione fornisce una serie di effetti elettromagnetici che possono essere convertiti in immagini, inoltre, se si aumenta l’energia del fascio incidente, si provoca la ionizzazione degli atomi degli elementi presenti sul campione.

 

Cessando la sollecitazione, gli atomi tornano al loro livello energetico fondamentale rilasciando ‘energia fornita loro per ionizzarli sotto forma di raggi X che, avendo l’energia caratteristica degli atomi di provenienza, consentono di ricavare gli spettrogrammi caratteristici e, quindi, di identificare l’elemento stesso.

 

Attualmente sono considerate:

  • “compatibili” o “indicative” allo sparo le “fire ball” contenenti : Piombo –  Bario, oppure Piombo – Antimonio, oppure Bario-Antimonio, Bario-calcio-Silicio.
  • “univoche” o “esclusive” dello sparo, quindi quelle riferibili univocamente allo sparo soltanto quelle contenenti l’associazione di Piombo, Bario ed Antimonio.

Si osservi che, fino a poco tempo fa, i GSR contenenti l’associazione di Bario-Antimonio venivano classificati tra quelli “univoci” ma, successivi studi sperimentali hanno posto in luce genesi alternative allo sparo er la formazione di siffatte particelle sicchè esse vengono attualmente ricomprese tra quelle compatibili”.

Si osservi inoltre che, recentissimi studi hanno dimostrato che particelle sferoidali contenenti Pb-Ba-Sb e quindi del tutto assimilabili ai GSR, possono essere prodotte per cause del tutto differenti.

Va comunque osservato in generale che:

  • Il Bario è presente nelle ceneri delle foglie di alcune essenze (ad esempio le Querce), è usato in radiologia, è impiegato col solfuro di Zinco per produrre alcune vernici bianche ed è largamente utilizzato nell’industria e nella lavorazione di gomme e cartoni;
  • Il Piombo è uno dei metalli più utilizzati nelle più svariate lavorazioni ed è diffusissimo, specie in ambiente urbano;
  • L’Antimonio fa parte di moltissime leghe a basso unto di fusione, viene usato per indurire le leghe di piombo (caratteri tipografici e per linotipia), viene usato nei tessuti incombustibili, nelle vernici, nelle lacche e negli smalti per ceramica.

In generale, la risposta positiva agli esami può dipendere da cause anche molto frequenti.

 

Inquinamenti o contaminazioni delle aree di prelievo di campioni dall’indiziato possono facilmente verificarsi se chi preleva il campione ha toccato i bossoli o le armi che sono a reperto o ha maneggiato la sua arma o se è comunque trovato in ambiente ove sono presenti GSR perché particelle significative possono molto facilmente migrare da una superficie all’altra sotto l’azione di campi elettrostatici o spostarsi per effetti gravitazionali od inerziali.

 

Ulteriore e non trascurabile fonte d’inquinamento è l’ambiente urbano in cui sono presenti tutti gli elementi anzidetti in composti derivati dalle attività che vi si svolgono.

 

A tal proposito è opportuno sottolineare che il Prof. Torre ha individuato particelle provenienti dall’uso dei freni di autoveicoli muniti di alcuni tipi di ferodi che sono del tutto sovrapponibili a quelle provenienti dallo sparo.

Lo studio del Prof. Torre è stato pubblicato sul fascicolo 1-2 Gennaio-Giugno 2000 di “Zacchia”, Archivio di medicina legale e criminologia (1) ed anticipato da E. Zernar alla fine del 1998 e da lui pubblicato nella pag. 137 della Sez. III di diritto e procedura penale pubblicata da Giuffrè nel 1999..

 

Con riferimento a quanto esposto, accadrà così che:

nel caso le ricerche dei GSR vengano effettuate a mezzo del SEM-EDX (STUB), buona parte delle circostanze anzidette determinerà la presenza di sferule mono, bi o pluricomponenti contenenti gli elementi anzidetti e, come accennato, è stata rilevata addirittura la presenza di sferule contenenti l’associazione dei tre elementi discriminanti, ossia il Piombo, il Bario e l’Antimonio.

 

In parole povere, appare evidente che chi venne incaricato di trovare, provare se l’indiziato impiegò, con certezza, un’arma (o la maneggiò), debba prima conoscere:

 

  • Se la distribuzione dei residui sulle zone di ricerca siano da riferirsi a zone elettive oppure casuali.
  • Se ‘indiziato sia un fumatore ed abbia impiegato recentemente dei comunissimi fiammiferi del tipo di marca Minerva, Svedesi, Vesta etc. ossia di quelli di sola accensione sulla scatola.
  • Se indiziato abbia avuto a che fare con batterie elettriche, con motori a due e quattro tempi oppure elettrici, se ha maneggiato marmitte per motori a scoppio o feridi o bronzine, se impiega saldatrice elettrica od autogena con brasanti, abiti in zona mineralogicamente di natura vulcanica oppure con presenza di tracce di piombo e antimonio tali le cave di pirite etc. se ha usato dopobarba o deodoranti o disinfettanti o talco, se ha maneggiato portachiavi con chiusura comunissima di piombo e antimonio se fu ammanettato o comunque toccato da CC o militi muniti dei guanti neri che raccolgono tutto.
  • E come e da chi furono eseguiti i prelievi con lo stub, se in ambiente lontano da residui di sparo oppure in loro presenza dove è possibile ritenere la presenza di tracce di residui di sparo per origine casuale (es: mani degli operatori sporche per aver raccolto i bossoli o proiettili ed aver maneggiato il cadavere, oppure perché venute a contatto con divise tenute in armadi chiusi unitamente alle armi d’ordinanza, gli stessi abiti o divisa usati per i tiri di allenamento al poligono. Etc.
  • Se furono eseguiti prelievi selettivi anche in zone che normalmente si sanno non lambite dai residui ( zone mute) al fine di avere un test di affidabilità(test in bianco).
  • Come furono conservati prima e dopo il prelievo gli stubs (per esempio se rimasero non confezionati semplicemente negli ambienti della eventuale caserma o in un cassetto, oppure nell’armeria o nel deposito dei corpi di reato ermeticamente.
  • Quali garanzie ci furono su eventuali inquinamenti casuali derivanti dalle impurità presenti sulle targhette o sui collanti o sull’inchiostro delle targhette apposte sul coperchio degli stubs.

 

La reale presenza di una sola microzolla ternaria piombo-antimonio-stagno con una notevole percentuale di alluminio (elemento comunque totalmente assente nell’analisi dei bossoli a reperto) non giustifica affatto analiticamente l’univoca origine da residuo di sparo; non la giustifica perché microzolle ternarie di identica natura compositiva ed identica morfologia se ne producono anche in natura.

Aver trovato solamente una microzolla, su una scarpa o scarpone che sia, nulla dice ai fini dell’impiego di un’arma da fuoco, potrebbe dire qualcosa qualora se ne fossero trovate venti o trenta e, contemporaneamente anche altre binarie di piombo e antimonio e piombo-bario.

Una sola microzolla  è con certezza d’origine inquinativa: in uno sparo le mani sono generalmente investite da una miriade di microzolle, delle quali alcune, ma sempre decine se non centinaia, permangono a dimostrazione dell’evento.

 

ESALTAZIONE MATRICOLE ABRASE

 

Il metodo utilizzato per apporre i numeri di matricola sulle armi da fuoco ed utilizzato  dalla quasi totalità delle fabbriche di armi fino ad un ventennio fa in particolare su fusti carrelli e canne in acciaio, è stato quello della punzonatura a pressione con la quale tramite un urto di martello oppure con un apposito torchio o maglio si imprimono i numeri sull’acciaio dell’arma.

Tale pressione meccanica crea una dislocazione plastica degli strati del metallo periferici all’impressione ed anche una modificazione della densità del metallo stesso (compressione) oltre ad una alterazione dell’orientamento cristallino.

Dopo le varie operazioni di alterazione del metallo (con stretta dipendenza dalla profondità delle abrasioni) vi è l’asportazione dei tratti superficiali o quantomeno di quei tratti suscettibili di visione ottica. Difficilmente si riesce a cancellare o modificare anche la struttura più interna del metallo. Le diversità fisico-strutturali possono poi essere ravvivate con varie metodologie:

  • Fotografia all’infrarosso.
  • Applicazioni chimiche con apposti mordenti
  • Applicazioni elettrochimiche.

Con la semplice macrofotografia è possibile preliminarmente lucidare con carta brasiva finissima la zona interessata per poi lucidare a specchio con pasta siliconica oppure con sospensione di ossido di alluminio successivamente si esegue una fotografia all’infrarosso dopo aver riscaldato leggermente la zona stessa.

Il potere riflettente del metallo con l’infrarosso consentirebbe di evidenziare eventuali contorni ed ombre degli originari caratteri abrasi. E’ preferibile ricorrere anche alla fotografia all’ultravioletto dopo aver passato sulla zona della sostanza  fluorescente diluita.

Il metodo chimico è quello usato in passato e consisteva nell’apporre sulla zona preventivamente lucidata e sgrassatura una miscela di  acido cloridrico concentrato, Cloruro di rame e Acqua distillata

Dopo alcuni secondi si potevano ravvivare i caratteri con un’altra colorazione dei contorni dei pregressi numeri cancellatii.

 

IL SISTEMA ELETTROLITICO è in generale quello più semplice e di rapido effetto e dovrebbe essere quello attualmente eseguito presso i laboratori di Polizia e Carabinieri. Anche’esso necessita di una preventiva fotografia  anche all’infrarosso. Quale attrezzatura occorre una batteria o un trasformatore a 12 V munito di potenziometro con due fili conduttori  ed un tamponino di feltro o cotone idrofilo. Si imbeve il tamponcino in una soluzione composta da Acqua distillata – Cloruro di ammonio – Acido cloridrico concentrato  e lo si passa sulla zona da trattare previa preliminare sgrassatura della zona stessa ed il collegamento dell’arma al polo positivo. Dopo pochi secondi incominceranno ad apparire i tratti pregressi che vanno subito fotografati a luce incidente e/o anche all’infrarosso.

 

Ai nostri giorni sulle moderne armi da fuoco i numeri di matricola vengono anche eseguiti con  metodi  diversi da quello meccanico o della punzonatura ovvero con la INCISIONE CHIMICA  tramite l’attacco profondo con acido ed eseguito con appositi apparecchi d’incisione.

Ulteriore metodo e quello eseguito a penna elettrica che, in realtà non si discosta molto dal precedente.

Tali moderni metodi d’incisone dei numeri di matricola sulle armi rendono l’opera di rilevazione molto problematica al fine della rigenerazione in quanto si ha solo una modificazione chimica strutturale molto limitata in superficie e non una modificazione strutturale fisica profonda come nella punzonatura e, in tal caso l’unico espediente resta quello di fare una macrofotografia a varie temperature di colore al fine di scoprire le infinitesime discrasie cromatiche causate dall’attacco dell’acido ai cristalli del metallo.