RIPRODUZIONI O REPLICHE DI ARMI BIANCHE
Dalla Rivista “Diana Armi” Ed. Olimpia – Dr. Biagio Mazzeo – Magistrato
Valga all’uopo la sentenza del Tribunale di Firenze seconda sez. penale in composizione monocratica proc. 4631/02 R.G. nei confronti di un commerciante imputato del reato di cui all’art. 695 c.p. perché, quale titolare dell’esercizio di rivendita di articoli militari, poneva in vendita senza licenz. del Questore le armi (sciabole, spade, pugnali) descritte nel verbale di sequestro e di convalida, notificati all’indagato. Il CTP Cesare Calamandrei, direttore della Rivista Diana Armi e Consulente del Museo di Castel Sant’Angelo, ha riferito che le armi sequestrate all’imputato, sono riproduzioni di armi storiche e leggendarie che vengono realizzate per uso scenico, cinematografico o per finalità di collezione e decorative. Esse si differenziano dai modelli originali, di cui costituiscono l’imitazione, in quanto sono realizzate in ferro e non in acciaio, di conseguenza sono molto più pesanti, hanno dimensioni superiori e grosse impugnature che rendono poco agevole l’uso. Sono dotate di punta generalmente smussata, mentre il filo della lama è generalmente assente. Per le caratteristiche che presentano, a parere del Consulente, tali manufatti non possono annoverarsi tra le armi proprie in quanto non sono realizzati per offendere. Tuttalpiù, possono considerarsi armi improprie in ragione di una potenzialità offensiva assimilabile a quella di altri strumenti che, pur non essendo stati realizzati col fine di offendere, possono tuttavia essere lesivi. La definizione di armi si ricava dal combinato disposto degli art. 585 c.p. richiamato dall’art. 704 c.p. T.U.L.P.S. e 45 del relativo regolamento, secondo cui, per armi si intendono le armi proprie, ovvero quelle da sparo e tutte le altre la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona.
L’art. 45 del regolamento del Testo Unico contiene poi la definizione specifica delle armi proprie diverse da quelle da sparo, indicandole come gli strumenti da punta e da taglio la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona, come pugnali, stiletti e simili. Quindi, all’interno della categoria delle armi, va tenuta presente la distinzione fra le armi da sparo e armi che, pur non essendo da sparo, sono comunque realizzate appositamente per arrecare offesa alla persona e dunque hanno insita tale destinazione naturale. Dalle armi proprie si differenziano, poi, le armi c.d. improprie, la cui elencazione, ancorchè non tassativa, è contenuta nell’art. 4 comma 2 L. n. 110/1975. Sono questi gli oggetti che, pur avendo una diversa, specifica destinazione (come strumenti da lavoro di uso domestico, agricolo, scientifico, industriale) possono tuttavia occasionalmente servire, per caratteristiche strutturali o, in riferimento a determinate circostanze di tempo e di luogo, all’offesa alla persona. Ne consegue che è vietato il porto di tali armi improprie fuori dalla propria abitazione, senza giustificato motivo, ovvero senza la sussistenza di valide ragioni inerenti alla diversa specifica destinazione. Il comma 1 dello stesso art. 4 L. n. 110/1975 si riferisce invece con tutta evidenza alle armi proprie, da sparo e non da sparo, quali le mazze ferrate, i bastoni ferrati, gli sfollagente e le noccoliere, secondo la nozione data dai richiamati art. 585 c.. – 30 T.U.L.P.S., sancendo il divieto assoluto di porto fuori dell’abitazione o nelle appartenenze senza l’autorizzazione prescritta dal terzo comma dell’ art. 42 T.U.L.P.S. Sulla scorta di tale distinzione normativa fra armi proprie ed improprie, al fine della configurabilità del reato contestato, occorre stabilire se le armi sequestrate al **** presentino una intrinseca potenzialità offensiva, tali da ritenere che esse siano strutturalmente e funzionalmente destinate all’offesa, ovvero appositamente realizzate per tale finalità. Alla stregua delle risultanze emerse dall’istruttoria dibattimentale, in particolare, dall’esame diretto in udienza di tali manufatti e delle considerazioni del Consulente della difesa, del tutto condivisibili, si deve pervenire alla conclusione che, i prodotti posti in vendita dal **** lungi dall’essere vere proprie armi, sono oggetti aventi finalità esclusivamente scenica, ornamentale e collezionistica. Inoltre hanno la punta smussata e sono, pressocchè prive di affilatura. Quindi, sia le metodiche di costruzione che le caratteristiche strutturali portano ad escludere che esse siano state realizzate per arrecare offesa alla persona. Manca sia sotto l’aspetto strutturale che quello funzionale, un’intrinseca destinazione a tale scopo, che caratterizza le armi proprie, distinguendole dalle c. d. armi improprie.
Non sono al riguardo condivisibili le argomentazioni espresse dall’ agente che ha proceduto al sequestro e alla denuncia secondo cui, indipendentemente dall’impiego di esse, in conformità all’uso che gli è proprio, tali armi devono considerarsi armi proprie c.d. bianche, in quanto un malintenzionato potrebbe comunque usarle per fare del male.
E’ vero, non può escludersi che tali manufatti possano esplicare un’azione offensiva, ma si tratta di un effetto non connaturato alla loro struttura e destinazione, non tale quindi, anche per l’occasionalità di un uso in tal senso, da farli qualificare come vere e proprie armi.
Vero, invece che essi possono assimilarsi agli oggetti atti ad offendere (c.d. armi improprie), soggetti, quanto al porto, alla disciplina di cui all’art. 4 comma secondo L. 110/1975.
Si deve quindi escludere che le armi sequestrate al **** possono annoverarsi fra le armi proprie, per la cui vendita occorre la licenza prescritta dal T.U.L.P.S. Ne discende l’assoluzione dell’imputato dal reato ascrittogli.
LUNGHEZZA DELLA LAMA
Da Rivista “Diana Armi” Edit. Olimpia anno 1992 n. 1 – Paolo Pinti
Prima della legge 110/75 era consentito portare con se i temperini, cioè coltelli con lama decisamente corta, tassativamente indicati nel’ art. 80 regolamento TULPS, che affrancava da ogni prescrizione limitativa i coltelli con lama inferiore ai 4 centimetri c.s.: A) i coltelli acuminati o con apice tagliente, la cui lama, pur eccedente i 4 cm. di lunghezza, non superi i centimetri sei, perchè il manico non ecceda in lunghezza centimetri 8 e, in spessore millimetri nove per una sola lama e millimetri tre in più per ogni lama affiancata. B) i coltelli e le forbici non acuminate o con apice non tagliente la cui lama, pur eccedendo i quattro centimetri, non superi i dieci centimetri di lunghezza. Quindi i temperini erano consentiti, purchè rispettanti dette misure. Ora invece non è più così: possono senz’altro essere acquistati e detenuti senza formalità, ma il porto può avvenire solo “per giustificato motivo” (art. 4 L. 110/75). Già nel 1981 la giurisprudenza (Cass. Sez.V -13/12/81) aveva ritenuto non più operante l’art. 42 Tulps e pertanto che non fosse “più necessario che un coltello per essere considerato arma presenti determinate dimensioni, così come era richiesto dalla precedente normativa. Trattandosi di uno strumento da punta o da taglio deve essere considerato alla luce della nuova legge <arma impropria>, poiché è oggetto che, pur non avendo come naturale destinazione l’offesa, è pur sempre idoneo a ledere…”.
Quindi, con decisione 7/4/82, la Suprema Corte ha confermato tale indirizzo,”la definizione degli strumenti da punta e da taglio atti ad offendere”, il cui porto è vietato senza giustificazione espressa ed esclusiva della normativa dell’art. 42 Tulps che, relativamente al comma 2, è stata abrogata dall’art. 4 capoverso 1, L. 110/75 e pertanto deve ritenersi che all’abrogazione non sfugga anche il predetto art. 80. Ne consegue che, dopo l’entrata in vigore della L. 110/75 la categoria degli strumenti da punta e da taglio, atti ad offendere non può più essere individuata in base alla normativa dell’art. 80 citato, in quanto, ormai svincolata del tutto dall’elencazione in essa contenuta e perciò, in essi vanno ricompresi anche tutti quegli strumenti che prima erano esclusi e il cui porto era consentito anche senza giustificato motivo. Ulteriore conferma è stata data dalle Sentenze10/4/84 (Sez.II), 5/12/84 (Sez. I), 6/11/85 (Sez.I) e ancora 26/5/88 (Sez. I).
COLTELLO A SCATTO
Dalla Rivista Diana Armi Editoriale Olimpia anno 2004 – Dr Biagio Mazzeo – Magistrato:
L’art. 4 della legge 110/1975 prevede solo l’accertamento in concreto dell’attitudine ad offendere dello strumento, prescindendo, per quanto riguarda i coltelli, dalle esclusioni un tempo previste per quelli di minori dimensioni dell’art. 80 del reg. di P.S. (giurisprudenza consolidata. Cfr. Cassazione, Sez.I, 15 sett.1988, Frangipane; 10/03/1992 PM in proc. Ceccherini; 14/07/1993, PM in proc. Arditi, Sez. VI, 16/02/1990 Almonte.
Occorre riferirsi ,pertanto, alla ormai datata giurisprudenza, secondo la quale occorre considerare armi improprie tutti quegli strumenti anche non da punta e da taglio che, in particolari circostanze di tempo e di luogo, possano essere utilizzati per l’offesa alla persona. In base a tale parametro valutativo, sono state considerate armi improprie: una pentola utilizzata per procurare lesioni al volto di una persona offesa; un coltello avente una lama lunga 8,5 cm.; le balestre moderne e i relativi dardi; il machete; il coltello a serramanico; il cric dell’autovettura; un ago innestato in una siringa; una sbarra di ferro; un nerbo di bue; il coltello da lancio; un coltello destinato alla pesca subacquea. Se ne deduce che la qualifica di arma impropria può essere estesa a qualunque oggetto naturale o manufatto che, in circostanze particolari, possa servire per ferire una persona.
….la giurisprudenza assoggetta alla disciplina delle armi proprie il cosiddetto coltello a scatto, considerato alla stregua di un pugnale per il solo fatto di essere dotato di un meccanismo di apertura a molla, sebbene del tutto simile a un coltello a serramanico che è ritenuto, invece, strumento atto ad offendere (cfr. Cassazione penale, Sez. I – 30/01/1995 n. 563 Caruso; Cassaz. Penale sez. I, 19/05/1993 – Casali).
Sebbene il novero delle armi proprie risulti certamente più circoscritto, anche da parte della giurisprudenza più repressiva, anche se di tanto in tanto sono comparse decisioni di legittimità che hanno esteso la qualificazione di arma propria anche a strumenti come la balestra o addirittura il coltello a serramanico (blocco della lama) probabilmente confuso con il coltello a scatto. Se la citata opinione fosse esatta, dovremmo dedurne che la vendita di tali strumenti sia soggetta alla previsione dell’art. 35 TULPS (esibizione del porto d’armi o di nulla-osta all’acquisto), che la detenzione comporti l’obbligo di denunzia, ai sensi dell’art. 38 TULPS, che l’armiere debba annotare le “armi” in questione nel registro delle operazioni giornaliere e prenderle in carico con le stesse formalità previste per le armi da sparo. Tale conclusione urta però con il dato di esperienza che vede, la circolazione di tali strumenti, del tutto equiparata a quelle degli strumenti atti ad offendere, tanto che non è raro constatarne la messa in vendita presso coltellerie e ferramenta, dove vengono acquistati senza formalità, per essere tenuti in casa senza alcuna denuncia.
Mancando un obbligo di matricolazione delle armi bianche, il teorico obbligo di denunzia di tali armi viene sistematicamente eluso.
Diventa, d’altra parte, difficile giustificare una così marcata diversità di disciplina tra le armi bianche proprie e le armi improprie, basata, unicamente, sulla evanescente caratteristica differenziale della “naturale destinazione all’offesa”.
Nessuno può dubitare sulla maggiore pericolosità del machete sulla sciabola ma, per la cassazione, la prima è arma impropria e la seconda è arma propria.
COLTELLO COL FERMO DELLA LAMA
Da Rivista Diana Armi Editoriale Olimpia anno 1998 n. 12 pag. 24, da Angelo Vicari – Magistrato
La prima Sez. della Corte di Cassazione – sentenze n. 01901 e n. 05213 rispettivamente del 17 e 25 febbraio 1996 ha affermato il principio che tutti i coltelli pieghevoli di qualsiasi misura, muniti di fermo per la lama sono armi proprie e non “oggetti atti ad offendere”. All’uopo si riporta risposta dell’ ex ministro Fick all’interrogazione Parlamentare dell’ On. Apolloni:
“in relazione all’interrogazione in oggetto si evidenzia che le pronunce della Cassazione indicate definiscono armi comuni (armi bianche) i coltelli a serramanico che siano dotati di un congegno meccanico che permetta l’irrigidimento della lama aperta sino a contrario comando manuale, ritenendo equiparabile tale strumento al pugnale, allo stiletto ed ad altre armi simili.
Conseguenza dell’assunto è la illiceità della sola detenzione di tali coltelli senza licenza dell’autorità di pubblica sicurezza (art. 697 c.p.) e l’assunta illiceità del loro porto con applicabilità dell’art. 699 c.p. in luogo dell’art. 4 comma 2 L. 18-4-1975 n. 100.
L’interpretazione offerta dalla Cassazione non risulta contrastare con i principi regolari della disciplina delle armi c.d. bianche.
Difatti l’art. 45 del regolamento di pubblica sicurezza richiamato dall’interrogante, va coordinato con la disposizione dell’art. 80 dello stesso regolamento, nel quale sono indicate le tipologie di strumenti da punta e taglio, con specifico riferimento, anche alle dimensioni della lama, di conseguenza non è la destinazione dell’arnese il solo elemento atto a valutare la liceità della sua detenzione e del porto che sia connesso al “giustificato motivo” del suo utilizzo. Occorre che lo strumento, non presenti, oggettivamente, dei requisiti tali da renderne intrinseca la offensività (comma 2 art. 80 RD 6-5-1040 n. 635).
Le pronunce della Cassazione, pertanto, non contrastando col dettato normativo vigente, lo interpretano nel senso di ritenere illecito il porto di un coltello a serramanico che, per dimensioni di lama e per l’esistenza di un fermo, equivale a un pugnale, subordinando così alla licenza di P.S. la lecita detenzione dello stesso e ritenendo comunque illecito il porto.
Non possono certamente rientrare nella categoria così enucleata dalla Suprema Corte i coltelli da Boy Scout, i coltelli da pesca etc. seppure a serramanico, oggetti per i quali nella normalità dei casi, per le dimensioni della lama e i rapporti tra questa e l’impugnatura, rientrano nella tipologia delle armi da punta e da taglio, per le quali è consentita la libera vendita, la libera detenzione e il porto per “giustificato motivo”, ossia connesso all’utilizzo domestico, agricolo, scientifico, sportivo, industriale e similia (art. 45 comma 2 Reg. 5-5-1940 n. 635) e pertanto rientrano nella disciplina dell’art. 4 della legge 110/75.
Per la natura della pronuncia giurisdizionale, si è ritenuto di non emanare specifiche direttive, non ravvisandosi l’esigenza di ulteriori chiarimenti ai fini applicativi. “
ARMI PROPRIE E IMPROPRIE
Considerazioni tratte dal testo “Le Armi la legge” di V.zo Bonito Ed. Olimpia pag. 42
Rifacendoci al concetto di armi, sono armi le armi proprie cioè quelle da sparo e tutte le altre la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona, le bombe, qualsiasi macchina o involucro contenente materie esplodenti, ovvero i gas asfissianti o accecanti (art. 30).
Anche il codice penale contiene tale concetto (artt. 585 e 704), ma l’art. 585 precisa che s’intendono per armi anche tutti gli strumenti atti ad offendere, dei quali è, dalla legge, vietato il porto in modo assoluto, ovvero senza giustificato motivo. Quindi la nozione di armi dettata da detto art. 585 è più ampia di quella indicata dalle altre due norme sopra citate. C’è poi da tenere in considerazione gli artt. 1 e 2 della legge n. 110/1975.
Cosicché, giuridicamente, sono da considerarsi armi quegli strumenti che, per le loro qualità intrinseche, sono atti a provocare delle lesioni, compresi appunto gli involucri contenenti esplosivi e i gas etc.
In base a tale normativa, la dottrina ha elaborato la distinzione tra armi proprie ed armi improprie. Sono armi proprie quelle da sparo e quelle la cui naturale destinazione è l’offesa; armi improprie quelle che, pur potendo servire occasionalmente all’offesa, hanno per normale destinazione l’uso scientifico, domestico, commerciale, agricolo, artigianale, e simili (bisturi,coltelli da caccia, o da macellaio, trincetti, lesine, roncole, falci, rasoi, forbici, punteruoli, compassi, tagliacarte, scalpelli, bastoni muniti di puntale acuminato, accette, zappe etc. ed anche le armi bianche antiche specialmente se sono idonea a recare offesa alla persona per difetto ineliminabile della punta o del taglio, ovvero dei congegni di lancio o di sparo, la cui detenzione, collezione ed il trasporto sono consentiti senza licenza o autorizzazione, come dispone la legge 21 febbraio 1990 n. 36.
In particolare i coltelli da caccia, i machete, le scuri, si considerano strumenti atti ad offendere che, come quelli sopra enunciati non vanno denunziati e che possono essere portati per giustificato motivo (il coltello da caccia, nella caccia o nelle escursioni, la scure per lavori boschivi e campestri, per il machete si dovrebbe avere una piantagione di canne da zucchero nella quale impiegarlo); così per gli arnesi su indicati, occorre un giusto motivo per poterli portare fuori. I coltelli da lancio sarebbero anch’essi armi improprie, ma alcune sentenze hanno sostenuto che essi sono, per l’impiego ipotizzato, armi proprie soggette a denunzia, cosa che però noi non condividiamo.